domenica 14 giugno 2015

All’hotel Stancliffe e altri racconti giovanili

Era il settembre del 2014 quando comprai e lessi con intensa curiosità due libricini intitolati Henry Hastings e Il segreto (la recensione Qui), entrambi juvenilia appartenenti al ciclo di Angria che una giovanissima Charlotte Brontë scrisse, talvolta da sola, talvolta a quattro mani con il fratello Branwell, prima dei romanzi che l’hanno resa celebre.  Rimasi favorevolmente impressionata da questi germogli di scrittura da cui in seguito sono fiorite le più rigogliose storie note al pubblico. La prima cosa che pensai fu:  “Possibile mai che in italiano ci siano soltanto questi due racconti? In inglese sono certamente di più.” Dopo questa riflessione feci ciò che oggi è comune fare quando qualcosa ti appassiona, andai su Google e per logica digitai il nome della traduttrice: prof.ssa Maddalena De Leo. Dopo un’accurata ricerca sono risalita all’email della professoressa e da quel momento ho avuto la fortuna e il piacere di avere degli scambi con l’illustre studiosa e rappresentante italiana della Brontë Society da ben quarant’anni. È stato grazie a lei che ho potuto leggere altri juvenilia di Charlotte Brontë: ben sei racconti presenti nella raccolta intitolata “All’hotel Stancliffe e altri racconti giovanili”, curata e tradotta interamente dalla De Leo ed edita da Ripostes (2004).

In copertina 'The Disconsolate' acquerello di C.Brontë, 1830
I racconti che ne fanno parte sono: Albione e Marina, Le nozze, Alta società, Il ritorno di Zamorna, Mina Laury e All’hotel Stancliffe
Il primo, Albione e Marina, che ho trovato molto delicato e poetico, Charlotte lo scrisse a soli quattordici anni e in quattro ore, ed è il racconto di apertura dell’intero ciclo di Angria oltre che la prima storia d’amore che la più grande delle sorelle Brontë abbia scritto. 
L’ultimo, All’hotel Stancliffe, è stato composto da Charlotte quando era una ventitreenne, quindi quasi un decennio dopo. L’originale si compone di 34 pagine scritte con caratteri minuscoli decifrabili solo con una lente d’ingrandimento; conservato al museo di Haworth, è apparso per intero sul ‘Times’ solo nel 2003. 

Ciò che colpisce maggiormente di questi scritti sono le descrizioni dei luoghi: Charlotte descrive i paesaggi con minuzia di particolari, come se avesse davvero visto con i suoi occhi l’intero regno di Angria, che geograficamente, nella sua fantasia e in quella del fratello, era situato in Africa. Posti che, nell’isolamento della canonica, ha conosciuto solo attraverso la lettura.
Gli stessi personaggi sono ben caratterizzati, ognuno ha una sua psicologia che ci fa capire il precoce spirito d’introspezione che la giovane Charlotte possedeva e riversava nel suo mondo immaginario, su carta. La sua abilità nel sondare le passioni umane è già abbozzata distintamente in questi juvenilia.

I sei racconti, tutti arguti e caratterizzati da dialoghi abbastanza vivaci, come si può ben immaginare, sono tra loro concatenati: personaggi presenti in uno riappaiono poi nelle vicende di un altro, proprio come se fossero capitoli che vanno a comporre un unico grande romanzo scritto in un arco di tempo molto ampio. Le varie vicende ruotano attorno al bellissimo e temuto Zamorna,  il Re di Angria, uomo carismatico ed eroe, nella saga, di Charlotte. Il suo nemico, di cui in seguito diviene il genero, è il conte Northangerland, eroe preferito da Branwell. I due sono le massime autorità del regno intono ai quali tutti gli altri si muovono come comparse. A narrare le vicende è Charles Wellesley, fratello minore di Zamorna, che tollerando poco l’illustre e altezzoso parente, si diverte a tratteggiarne la figura prepotente, che riesce sempre a cavarsela, in amore grazie alla sua capacità di ammaliare le donne, e in politica grazie alla retorica sempre persuasiva. 
Gli intrecci sono ben costruiti, il colpo di scena non è mai scontato. 


Sapendo già che parte del pubblico che leggerà questa recensione sono ragazze e donne che Charlotte Brontë la amano e la stimano per Jane Eyre (le più appassionate anche per Villette e Shirley), ci tengo a dare un piccolo e disinteressato parere sulle figure femminili presenti in questi racconti.
Escluse alcune figure marginali, le donne presenti nei racconti sono due: Mary Henrietta Percy, figlia di Northangerland e terza moglie di Zamorna, e Mina Laury, amante e quindi mantenuta del Re. La prima, innamoratissima del marito che sempre l’abbandona e che sembra divertirsi a lasciarla preda delle sue angosce, è una creatura delicata, elegante, resa insicura da lui: non possiede i tratti della tipica eroina brontëana. La seconda, Mina, seppur in una condizione di condanna e di pregiudizio da parte della società per il ruolo che ricopre e che ella stessa accetta (vive rilegata in una villa al margine di Angria, dove solo raramente riceve le visite del suo amante-padrone), è altrettanto innamorata del medesimo uomo e con obbedienza stoica e spirito di sottomissione, è la donna che davvero riesce a tenere in scacco l’indomito Zamorna. Mina Laury è forse la prima figura femminile che contiene quel germe che anni dopo ha dato forma e fama a Jane Eyre e a Lucy Snowe: lo spirito di abnegazione nonostante i sentimenti del proprio cuore.

I racconti che più ho gradito sono stati Albione e Marina per la poeticità, Alta Società per il colpo di scena finale e Mina Laury per l’intensità della narrazione. Quello che mi è piaciuto meno è stato proprio il racconto che dà il titolo alla raccolta. 
In conclusione desidero ringraziare la prof.ssa Maddalena De Leo, per avermi dato l’opportunità di leggere queste perle per me preziosissime e di poter vantare oggi nel mio angolo Brontë, in libreria, un lavoro di traduzione certosino, scorrevole e appassionato.  

Antonella Iuliano

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