domenica 21 aprile 2019

martedì 9 aprile 2019

Recensione: Miss Miles di Mary Taylor

Buongiorno cari lettori e care lettrici,
oggi vi posto la prima recensione dell'anno che riguarda un classico pubblicato per la prima volta in lingua italiana lo scorso febbraio e che vi ho presentato sul  blog per l'occasione (qui). Mi riferisco a Miss Miles di Mary Taylor, tradotto da Alessandranna D'Auria ed edito da Darcy Edizioni. Spero sarete pazienti perché la mia trattazione è forse un po' lunghetta ma è stato necessario essendo un volume di ben 700 pagine non proprio semplici da affrontare...

“Aveva vissuto in questo caldo paradiso dell’infanzia e ora stava svanendo alla luce di un giorno qualsiasi. Il grigio, freddo mondo era tutto intorno a lei, e non vi era luogo in cui riposare.”

Nel 1890, tre anni prima della morte della sua autrice, in Inghilterra usciva Miss Miles, un primordiale manifesto femminista scritto da Mary Taylor, nota per essere stata una delle più care amiche e corrispondenti di Charlotte Brontё, la celebre scrittrice di Haworth morta molti anni prima, nel 1855. Mary Taylor, come apprendiamo dalla prefazione curata dalla traduttrice, era una donna speciale, anticonformista ed emancipata, che non accettò mai il matrimonio come unico destino per il genere femminile, ma ritenne, in una società prettamente maschilista come quella del tempo, di farsi strada nel mondo dedicando la propria vita al lavoro e ai viaggi. Miss Miles rispecchia la sua visione rivoluzionaria del gentil sesso. 

La storia è ambientata nel 1830 a Repton, un piccolo villaggio dello Yorkshire che conta poche case, una cappella, una fabbrica, gente semplice e molta miseria.
Sarah Miles è una ragazzina di sedici anni la cui natura aperta e determinata si scontra quotidianamente con l’ignoranza che la circonda. 

“Quando Sarah Miles si proponeva d’iniziare qualcosa di nuovo nella sua vita, non mancava d’impressionare favorevolmente chi voleva i suoi servigi. Forte e dritta, occhi aperti e osservatrice, veloce e gradevole nei rapporti, andava d’accordo con tutti.”

Sarah è la figlia del droghiere e a casa sua le cose vanno un po’ meglio che agli altri ma la giovane è comunque insoddisfatta, ha delle ambizioni: vorrebbe studiare e imparare le maniere di una signora. 

“Mi pare che se non desideri niente, non c’è speranza. Non resta niente al mondo che i mali.” 

Dopo molto dibattere, la ragazza finalmente riesce ad andare a scuola e qui affiora, tra le pagine, il ricordo dell’autrice degli anni trascorsi nei banchi di Roe Head, l'istituto che frequentò da giovanissima assieme alla maggiore delle Brontё. Sarah, che forse nelle intenzioni di Mary Taylor è un tentativo di ritrarre proprio quest’ultima, nonostante la sua conquista deve comunque fare i conti con una realtà retrograda che non comprende le sue reali aspirazioni e i suoi desideri. 

“È tutto ciò che la vita ha per noi?” chiese “combattere duramente più che possiamo e poi distendersi e morire?”

Lei, però, è decisa a uscire dal guscio impiegando il suo unico talento, il canto. Ed è grazie a esso e alle esperienze che ne ricaverà man mano, che riuscirà a crescere e a diventare una giovane donna indipendente e semplice al tempo stesso. 

“Mi stupisco di cosa ci trovi qui. Non c’è niente da fare e da vedere. È come stare svegli nelle nostre tombe.”

La seconda eroina del romanzo è Maria Bell, un'altra giovane donna che, rimasta orfana dei genitori, si trasferisce proprio a Repton per lavorare come insegnante. Le allieve, però, se in un primo momento sembrano numerose, tra cui la stessa Sarah, a un certo punto smettono di frequentare la sua casa e così le prospettive future di Maria si rannuvolano tristemente e altro non le resta che attendere tempi migliori.  

“Ci liberiamo dei fardelli immaginari quando ne abbiamo altri reali da portare.”

A lei è legata Dora Wells, amica d’infanzia vittima di un patrigno cinico e avaro, che dopo molta solitudine e sofferenza riesce a liberarsi dei retaggi morali e sociali che l’hanno tenuta in gabbia per molti anni e a raggiungere la propria indipendenza mettendo a frutto un progetto difficile ma capace di darle letteralmente voce. 

“Ho camminato intorno ai muri della mia prigione, senza vedere una fessura da cui fuggire.”

Ultima la dolce e delicata Amelia Turner, figlia dei proprietari della fabbrica, ragazza di buona famiglia considerata un esempio di signorina educata e istruita. 

“Aveva portato a casa certe idee da scuola che i suoi genitori né capivano né tolleravano. Diceva sempre che il lavoro non era degradante, che il lusso non era necessario a una vita felice, che l’approvazione dei loro conoscenti era sufficiente per sopportare il lavaggio delle stoviglie e la lucidatura delle scarpe.” 

Quando la sua famiglia cade in disgrazia a causa dei debiti del padre, diversamente da quanto ci si può aspettare da una ragazza abituata a essere vezzeggiata, Amelia desidera rimboccarsi le maniche, fare economia e lavorare, ma la madre e le sorelle maggiori si oppongono strenuamente a questo suo proposito ritenendolo sconveniente e costringendola a una malsana e deleteria inattività.  

“Una donna non guadagna niente dall’uscire dal tracciato.”
“Solo nell’immaginazione riusciva a vedere le diverse emozioni della vita attiva.”


Quattro ritratti. Quattro destini. Troppi da gestire per una penna che sembra non possedere le capacità narrative sufficienti per un’impresa di tale portata, perché Miss Miles, intento femminista a parte, è un testo nervoso, elementare e proprio per questo paradossalmente difficile. L’intera opera è scritta senza cura. Precisazione che la stessa traduttrice, in alcune note a piè pagina, tiene a darci soprattutto quando ci ritroviamo dinanzi a dialoghi incomprensibili, scritti senza criterio, senza che l’autrice onnisciente e inesperta si preoccupi di avvertirci che ha appena cambiato scena, o ricordandosene solo in un secondo e tardivo momento; d’introdurre, ad esempio, un terzo o addirittura un quarto personaggio, così dal nulla, come un’apparizione, spiazzandoci. Ci si ritrova a leggere di due e all’improvviso ci rendiamo contro che nella stanza erano in quattro, o che non erano più nella stanza ma in qualche altro luogo appena accennato, spesso per dire niente o  tutt’altro, come se saltasse di palo in frasca. Un’opera confusa in molti punti che mi ha a malincuore convinta di una mancanza di talento alla base. L'impressione è che per quarant’anni Mary Taylor, di tanto in tanto, che si trovasse in Inghilterra o in Nuova Zelanda, dov’è che visse, si sia seduta al suo tavolino e si sia messa a buttar giù pensieri e scene sulle eroine della sua mente senza mai trovare il tempo di tornare indietro, rileggersi e correggersi. Un lavoro buttato giù di getto e mai rivisitato. Inutile aspettarsi grandi descrizioni di paesaggi o degli stessi protagonisti, sia sul piano fisico che sentimentale, perché ciò che in un’opera riesce a dare la percezione, a far “vedere”, “sentire” e magari sognare il lettore, qui è inesistente o abbandonato a se stesso, e più che l’immaginazione è necessaria una buona dose di pazienza. Non si può parlare di stile, personalmente non ne ho percepito alcuno e lo ritengo un peccato perché l’idea, e le stesse protagoniste con i loro destini, tra le mani di una scrittrice più capace e attenta, costituiva materiale sufficiente per un romanzo più che godibile. Insomma se  ottimo è l’intento, pessima è la forma. Di buono ho riscontrato alcuni bei pensieri dell’autrice che ho estrapolato e condiviso durante la lettura, stupendomi anche di come li avesse espressi in quelle rare occasioni: sparuti fari in mezzo a un oceano di molte, troppe pagine sconclusionate e ripetitive. 
Purtroppo Mary Taylor non riesce nemmeno nell’intento di esporre la parte romantica che azzarda per due delle sue protagoniste limitandosi a descrivere frettolosamente e pateticamente il corteggiamento e l’unione dei cuori. Nulla trasmette e ancor meno emoziona se di cuori e sentimenti parliamo. Probabilmente non si era mai innamorata al di là del fatto che intendesse fuggire il matrimonio a ogni costo. 


Un giudizio spietato il mio, me ne rendo conto e me ne rammarico, che esprimo, però, per onestà nei confronti di chi legge e che nulla vuole togliere al merito della traduttrice che lodo per aver speso tempo ed energie, - e che ringrazio nuovamente per avermi omaggiata di un volume, tra l’altro bello alla vista e anche al tatto, che appartiene a quel filone della letteratura inglese che più mi sta a cuore - e che con pazienza e passione ha affrontato un testo che nessun altro ha avuto il fegato di tradurre prima. 
Appunti per un romanzo, è così che considero Miss Miles.