venerdì 11 ottobre 2013

I fiori del male e Una stagione all'inferno

Dalla rubrica LibriAmo su "Fuori dalla rete" (Agosto 2013)

I FIORI DEL MALE di C. BAUDELAIRE

Charles Baudelaire
 Culmine assoluto dell'arte di Charles Baudelaire, considerato il re dei poeti e il primo dei poeti maledetti, “I fiori del male”  costituiscono una raccolta di poesie che sono una pietra miliare nel cammino della poesia moderna. Molto è già espresso nel titolo, bello ed emblematico, in cui si evidenzia un contrasto: quello tra estetica e morale, tra bene e male, tra Dio e Satana. Due sostantivi che appartengono a due ordini diversi: i fiori, elementi della natura di per sé belli e attraenti, accostati al male, alla corruzione, alla distruzione, al peccato. Poesia di forte contraddizione dunque, dove il poeta riscatta il male nell’ arte e arriva a scoprire che anche il male ha i suoi fiori. L’unico mezzo, per far si che realtà banali e volgari della natura e della carne (il male) acquistino la bellezza e la sublimità (i fiori), è la poesia. Una poesia che è anche portatrice di armonia, serenità, nostalgia. Leggendo questi versi riscontriamo che Baudelaire  era un uomo che ha vissuto sentendosi “chiamato” ora da Dio, ora da Satana, ma alla fine non ha scelto l’ inferno, come non ha scelto il paradiso, ha scelto la poesia e in essa ha espresso il suo esser uomo e il dissidio interiore tra il bene e il male. In questi versi vi si trovano il suo cuore, il suo tormento, la sua perdizione, la sua tenerezza, la sua angoscia, il suo dolore, la sua religione nascosta, il suo sentirsi dannato e forse proprio per questo eletto. Un uomo, un poeta in cui l’uomo moderno può senza dubbio trovare un riscontro.


“Il poeta è come quel principe delle nuvole,
che sfida la tempesta e ride dell’arciere;
ma in esilio sulla terra, tra gli scherni,
con le sue ali di gigante non riesce a camminare."
(da  L’albatros)


 UNA STAGIONE ALL’INFERNO di A. RIMBAUD

Arthur Rimbaud
 Considerato un capolavoro della letteratura mondiale, non solo francese, “Una stagione all’inferno” diviene fonte d’ ispirazione di artisti e correnti letterarie.
È un viaggio all’inferno fatto di rime quello in cui Arthur Rimbaud accompagna il lettore. Nella sua opera si consuma la tragedia dell’uomo: la ricerca di qualcosa che ogni volta si mostra come inafferrabile, fonte di sofferenze atroci che lo portano ad una crisi alimentata dalla società, ritenuta cieca, del suo tempo. È una poesia di rivolta, dove il poeta, abbandonato, si innalza al di sopra di tutto e si fa veggente. Rimbaud è il visionario, l’ invasato che plasma parole, che si lascia possedere dal linguaggio per potersi rigenerare in esso. Distrugge nessi logici e sintattici per riemergere dalle macerie del passato con nuove rime, sognanti, magiche, rime di forte dissenso. Spezza le catene della tradizione per una nuova libertà. A una prima lettura le sue liriche possono apparire sconnesse, a volte addirittura incomprensibili, ma lette con rinnovata attenzione le sue parole prendono la forma del suo animo tormentato e ci appare, proprio lì sulla carta, l’anima sognante e incompresa di un poeta prodigio, che cercava il suo posto nel mondo, esattamente come ogni uomo, come ogni essere dotato di spirito. Quello di Arthur è stato senza dubbio uno spirito non comune, caduto in una vita sregolata e riemerso nei versi che l’hanno consacrato all’immortalità. È una poetica difficile, come spesso lo è la vita; una poetica che apre porte immaginarie per uscire da quella realtà opprimente, che spesso non combacia con il nostro essere, per lasciarci respirare.

“Scrivevo silenzi, notti, annotavo l’inesprimibile. Fissavo vertigini.”
(da  Alchimia del Verbo)

Antonella Iuliano


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