Oggi vi parlo della mia ultima lettura del vecchio anno, conclusa con un po’ di ritardo, Zuleika apre gli occhi di Guzel’ Jachina, ricevuto qualche mese fa da Salani Editore.
"Grande è il paese dove vive Zuleika. Grande e rosso come sangue di bue. Zuleika è in piedi di fronte a un'enorme carta geografica che copre tutta la parete e con sopra una gigantesca macchia rossa che somiglia a una lumaca incinta:
l'Unione Sovietica."
Zuleika apre gli occhi si basa su un pezzo di storia spesso dimenticato: la deportazione di milioni di esseri umani nelle gelide e desolate lande siberiane da parte del governo russo di Stalin. Conosciamo la protagonista, Zuleika, trentenne ma già sposata da quindici anni con Murtaza, un uomo rude, grosso e più anziano di lei. Zuleika è una contadina tartara e come molte ragazze in età da matrimonio, era stata data in sposa al miglior partito. Il marito ovviamente la tratta come una schiava e come se non bastasse, a vivere accanto alla loro izba c’è la suocera, una vecchia strega che la vessa e la tormenta e che lei chiama (in segreto) la Vampira. Zuleika subisce da brava moglie e nuora, non si lamenta, seppellisce quattro figlie morte bambine, teme gli spiriti del bosco e della casa, non disobbedisce mai e lavora sodo. Un giorno, però, la sua semplice vita è sconvolta dai soldati dell’orda rossa che fanno razzia di beni, terre, uccidono suo marito e la deportano.
"La morte è ovunque. Zuleika lo sa da quand'era bambina. (...) Tutto ha in sé il germe di una futura agonia."
Inizia così Zuleika ad aprire i suoi grandi occhi verdi, quando viene portata via verso una destinazione ignota, senza sapere se farà mai più ritorno a Julbaš, il suo villaggio. Ad attenderla c’è un viaggio interminabile insieme con altri deportati, contadini come lei ma anche gente di città, tutti stipati a bordo di un treno merci che metterà un’enorme distanza da tutto ciò che Zuleika era e conosce della vita. L’arrivo sulle sponde del fiume Angara nell'estate del 1930, i campi di lavoro coatto, la convivenza forzata, la nascita di un figlio - Juzuf, ultimo lascito del suo crudele marito - la vita massacrante nei boschi, il primo rigido inverno, sono vissuti, al pari di Zuleika, anche da Ignatov, il bel comandante che sembra essere spietato con tutti tranne che con lei.
La storia di Zuleika è la vicenda di una donna ignorante che proprio quando si ritrova all’inferno scopre di essere libera di amare, ma è anche la storia di una madre capace di grandi sacrifici per permettere al proprio figlio di conoscere e amare la vita da uomo libero.
Il romanzo è nel complesso una storia ben documentata sulla vita dei kulaki all’interno del kolchoz: tra le sue pagine assistiamo all'interessante costruzione di un villaggio siberiano, dove la natura è spietata: da alcune piccole capanne alla nascita, anni dopo, di un vero e proprio villaggio, Semruk; gli espedienti per la sopravvivenza, la caccia, la pesca, il massacrante lavoro nei boschi per l’economia dello Stato sovietico. È un racconto ricco d’informazioni terribili e affascinanti ma rare sono le forti emozioni: sono presenti qua e là avvenimenti un po’ più avvincenti di altri ma lo stile della narrazione a tratti sembra distaccato, poco incline a raccontare i turbamenti interiori dei protagonisti a favore di descrizioni fin troppo particolareggiate di posti e azioni che possono sì darci un’idea molto chiara ma anche essere pesanti. Inoltre è presente un continuo alternarsi di tempi verbali che può risultare antipatico: capita che in uno stesso paragrafo ora si narri al passato ora, di colpo, al presente.
"Questo è il luogo in cui la morte gode a soccombere la vita."
Antonella Iuliano
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