Buongiorno lettori e buon inizio settimana.
Oggi finalmente pubblico la prima recensione dell’anno che riguarda un classico di una scrittrice inglese che non avevo mai letto prima, Ann Radcliffe e il suo Il romanzo della foresta, pubblicato per la prima volta, anonimo, nel 1791. Antesignana del gothic novel, Ann Radcliffe ha ispirato moltissimi autori dell’Ottocento, nomi come Jane Austen, Edgar Allan Poe e Wilkie Collins, solo per citarne alcuni. La prima edizione integrale di The romance of the Forest in italiano, è arrivata in libreria sul finire del 2019 grazie al traduttore Massimo Ferraris e a Elliot Edizioni.
"Qualunque azione può essere celata dalle sue mura; la mezzanotte può fare da testimone al fatto, e l'alba non spunterà per rivelarlo; questi boschi non possono rivelare nulla."
La storia inizia con una fuga precipitosa in una notte buia e tempestosa, espressioni che già di per sé immergono in uno scenario che promette suspense e adrenalina.
Pierre De La Motte, gentiluomo francese, sta scappando da Parigi con la moglie e i due domestici a bordo di una carrozza lanciata a folle velocità. Il suo stile di vita scellerato e dispendioso l’ha condotto alla rovina e adesso i creditori e la legge lo inseguono. Vorrebbe raggiungere il sud della Francia, dove spera di trovare rifugio, quando in una breve sosta notturna, si ritrova a salvare una bellissima e desiderabile ragazza tenuta in ostaggio da alcuni banditi in una casa isolata, Adeline. La sfortunata damigella, il cui passato è tutto da scoprire, si aggrega così alla famiglia di fuggitivi e dopo un po’ si ritrovano in una tetra e impervia foresta, dove ben presto diventa impossibile distinguere alcun sentiero.
"Si ergeva su un prato incolto, ombreggiato da alberi alti e dalla folta chioma che sembravano della stessa epoca dell’edificio e diffondevano una romantica oscurità tutt’intorno. La maggior parte della costruzione stava cadendo in rovina, e ciò che aveva resistito alle ingiurie del tempo rendeva ancora più evidente il degrado del resto della struttura.”
Penetrando al suo interno, la vegetazione si fa sempre più fitta e le ombre più scure. Peter, il domestico seduto a cassetta, non riesce a proseguire ma La Motte insiste perché vada avanti, fino a quando una ruota urta contro qualcosa, s’incrina, si rompe e la carrozza si ribalta. Tutti per fortuna ne escono illesi, ma la loro situazione è notevolmente peggiorata. La speranza di un ricovero dove trascorrere la notte si palesa in lontananza scorgendo due alte torri che, illuminate dal chiaro di luna, sovrastano gli alberi. Il gruppo s’incammina in quella direzione per ritrovarsi davanti ai resti gotici di un monastero. L’abbazia di St. Clair, nella foresta di Fontanville.
"Un cancello gotico rimasto intero e riccamente ornato da trafori si apriva sul corpo principale dell'edificio, che era invaso dal sottobosco. Al di sopra del vasto e magnifico portale di questo cancello sorgeva una finestra dello stesso stile, i cui archi a sesto acuto esibivano ancora frammenti di cristallo colorato, orgoglio un tempo della devozione dei monaci."
Qui inizia la parte bella, affascinante, ricca di suspense e davvero gotica della storia. Il lettore è attirato all’interno della diroccata abbazia seguendo i passi ora decisi ora timidi dei protagonisti che scelgono quel luogo dimenticato come nascondiglio, anche se mette una certa soggezione e ogni pietra sembra trasudare mistero. Stanze vuote si susseguono senza fine, porte introducono ad altre porte, a lunghi e spogli corridoio, a scale ripide, a celle che hanno ospitato monaci ma anche chissà quali malcapitati. Gli elementi per tenere il fiato sospeso ci sono tutti.
“Entrò in quella che sembrava essere stata la cappella dell'abbazia, dove una volta si levavano inni di devozione ed erano state versate lacrime di penitenza: suoni che ora potevano essere richiamati in vita solo dalla mente, lacrime di penitenza che erano state da lungo tempo congelate dal destino. La Motte si fermò un momento poiché sentiva una sensazione di maestosità che sfociava in terrore: stupore e timore reverenziale insieme.”
Il romanzo inizia, a mio parere, a subire una battuta d’arresto nel mezzo, quando a sconvolgere la nuova e velata serenità dei protagonisti, arriva il sinistro marchese di Montalt, proprietario dell’abbazia. Da questo momento in poi lo scenario è destinato a cambiare perché Adeline, che nel frattempo ha conosciuto l’amore nella persona di Theodore, un cavaliere al servizio del marchese, comprende di non essere davvero al sicuro e con grande dolore, poiché ormai considera i La Motte la sua famiglia, è costretta nuovamente a fuggire.
“Là dove c’è la colpa, la pace non può entrare.”
Il ritmo cambia, pagine lente e melanconiche rubano la scena a quelle che in precedenza avevano affascinato e suscitato brividi. Pagine in cui la nostra eroina, per via della sorte avversa diventa un po’ troppo svenevole e facile al pianto nonostante mostri sempre una certa fermezza nelle proprie decisioni. Ma sono anche pagine poetiche, auliche, che tuttavia spezzano l’atmosfera trepidante dell’esordio. A lettura terminata, infatti, il mio giudizio a caldo è stato: è un gotico a metà, forse perché speravo di uscire dall’atmosfera suggestiva e decadente dell’abbazia seminascosta dalla foresta soltanto a fine romanzo e non prima, per andare incontro a pagine che pur mantenendo uno stile ricercato, in alcuni punti sembrano farsi macchinose. Pagine che, almeno per me, hanno richiesto un po’ più di pazienza ma che, vi assicuro, pian piano conducono a un finale in cui i colpi di scena non mancano e soprattutto dove la penna dell’autrice sfodera una grande capacità d’intreccio narrativo.
"E queste mura, dove una volta si annidava la superstizione e l'austerità anticipava un purgatorio terreno, ora vacillano sui resti mortali degli esseri che le innalzarono."