domenica 9 marzo 2014

Il gusto proibito dello zenzero



Henry Lee è un ragazzino cinese che ogni giorno si reca a scuola con una spilla sul petto su cui vi è impressa la scritta “Io sono cinese”. Tanto basterebbe a farci comprendere che questo romanzo, il primo di Jamie Ford, porta all’attenzione una pagina di storia sconosciuta ai più, quella sulle discriminazioni razziali, nell’ America degli anni ’40, nei confronti degli orientali.
Jamie Ford
Conosciamo Henry ormai invecchiato, che passando davanti all’hotel Panama - posto in cui per lavori di rinnovazione si sta provvedendo a svuotarne la cantina – nota un ombrellino di bambù e ciò basta per farlo tornare indietro con la memoria di quarant’anni. Quel luogo, il Panama, è una sorta di enorme scrigno che pullula di segreti e di storie di vite spezzate, e Henry questo lo sa bene, lo sa perché è lì che riposano gli oggetti e gli averi di centinaia di giapponesi che durante la guerra furono deportati in campi di reclusione. Tra questi oggetti, è sicuro che vi sia qualcosa appartenuto un tempo a una persona che lui ha amato e così preso dai ricordi narra la sua storia al proprio figlio. Scopriamo, nei ricordi di quest’uomo, che un giorno, quand’era ancora un ragazzino, a scuola, tra le ingiurie dei bianchi, incontrò due occhi simili ai suoi, quelli di Keiko, una ragazzina giapponese. La sua vita non sarebbe più stata la stessa dopo l’incontro con questi occhi. Keiko è come lui, sente di essere americana, perché è nata lì, ma i suoi tratti orientali la bandiscono dalla società. Così tra i due, che subiscono la stessa ingiustizia, nasce una profonda amicizia, questo fino a quando ben due ostacoli si frappongono tra di loro finendo per dividerli. Il padre di Herny, non vede di buon occhio questo legame e cerca in ogni modo di
allontanare il figlio dalla ragazza; egli è un cinese attaccato alla tradizione e detesta i giapponesi per la guerra che ha visto coinvolte Cina e Giappone. L’ostacolo più grande però è rappresentato dalla cacciata dei giapponesi dai quartieri americani, perché ritenuti spie pericolose dopo l’attacco a Pearl Harbor e rinchiusi in campi di prigionia. Keiko e la sua famiglia, con il resto della loro comunità, vengono portati via e a questo punto Henry comprende che ciò che prova per Keiko non è solo amicizia, ma qualcosa di ben più profondo. Divisi dal razzismo strisciante che in un primo momento li aveva uniti, riuscirà quarant’anni dopo Henry Lee, con l’aiuto di suo figlio - avuto da una donna sposata quando credeva di aver perduto Keiko per sempre – a ritrovare gli amati occhi che segnarono la sua vita? Sta a voi scoprirlo. Di mio posso dire che questo è un romanzo come pochi, bellissimo, profondo e capace di insegnare. Un libro dove la determinazione  di un sentimento puro percorre le pagine con alti picchi di pathos. Consigliatissimo.

Antonella Iuliano

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